La matassa di spago - ultima puntata


La matassa di spago

Romanzo breve – inedito di Francesco Zaffuto
Copyright  © Francesco Zaffuto

(il racconto è stato interamente pubblicato su Arpa eolica in 13 puntate)


13° ed ultima puntata

Le strade vicino al teatro si erano riempite per l’impazzito traffico di spettatori che si erano allontanati  e molti dei quali avevano ripreso le loro macchine e cercavano di andar via in fretta. Il Tumiati si era messo alla guida, aveva imboccato una strada vicina, ma si era creata nuovamente una folla di persone e qualcuno gridava. Tumiati, fermò l’auto e scese velocemente per capire cosa stava accadendo.

“Un incidente, commissà, si aspetta l’autombulanza.” Scesi anch’io dall’auto.
 Ci avvicinammo, scostammo un po’ di presenti.
 C’era una macchina con le portiere aperte e un uomo steso per terra, era il Mazzetti nei suoi vestiti cenciosi e tutti lo vedevano.
  Il guidatore con le mani si stringeva le tempie in atto disperato dicendo: “Non l’ho visto, non c’era nessuno per strada, non c’era nessuno per strada. Non è possibile, non è possibile.”
“Commissà, mi pare di conoscerlo. Si ricorda quel tale del furto del salame al supermercato? Quel Mazzetti?” 
 L’autombulanza arrivò con una certa celerità. Mentre i due addetti caricarono in barella il Mazzetti, mi avvicinai, feci vedere il mio tesserino dicendo: “Vengo in autoambulanza con voi”.
 Dissi al Tumiati di seguire l’autoambulanza  con la macchina fino all’ospedale.
 Il Mazzetti a me pareva che non desse segni di vita. “Non si preoccupi” disse uno dell’assistenza “deve essere un trauma cranico ma respira, debolmente  ma respira. Lo stavate inseguendo?”
“No, è un incidente, provocato da un’altra macchina, ma lo conosco ed è anche un mio amico”. Pronunciai quella parola amico, senza pensarci come la cosa più naturale che mi fosse venuta in mente.
“Il suo vestito e la giacca li tengo io. Il suo documento d’identità penso che sia nel calzino destro.” Dissi agli infermieri della sala rianimazione dell’ospedale che lo stavano spogliando; il suo documento sgualcito  era ancora là.
 L’invisibile Franco Mazzetti fu attaccato a tante macchine che misuravano ogni pulsazione  del suo corpo. Non era in grado di comunicare minimamente, eppure ogni tanto apriva gli occhi e sembrava fissarmi.
“Mi vede?” chiesi al dottore che si aggirava attorno al suo letto.
“Non sappiamo, può anche essere, come possono essere immagini che il suo cervello non registra. Quello che le posso dire è che è grave. Tra un paio di ore forse possiamo dirgli qualcosa di più preciso.”
Raggiunsi il Tumiati: “Puoi andare a dormire, io resto ancora un po’”.
“Non importa commissà, gli faccio compagnia.”
 Non rifiutai quella solidarietà del Tumiati. Avevo in mano la giacca del Mazzetti, e il suo documento che mi avevano riportato gli infermieri dopo la registrazione dei dati.  Rovistai nelle tasche, c’erano un po’ di monete di diverso taglio, un piccolo coltellino di quelli tutto fare tagliaunghie compreso, e una matassa di spago.
 Il Tumiati non mi chiese niente, non so se il suo silenzio era da attribuire all’avere capito qualcosa, al non volere tediarmi con delle domande, o semplicemente alla sua stanchezza.
Dopo più di un’ora il dottore venne a chiamarmi dicendo: “Ha preso conoscenza, venga,  mi raccomando non lo affatichi”
Il Mazzetti mi cercava con gli occhi:
”Mi vedono tutti?”
“Sì”, risposi.
“Allora sono fritto.” Concluse rivolgendomi un leggero sorriso e ripiombò nello stato precedente d’incoscienza.
Ci furono alcuni minuti di silenzio, il medico che si aggirava attorno al suo corpo, guardando le macchine disse che i suoi valori stavano precipitando.

Venti minuti dopo il Mazzetti Franco era visibile ed anche morto.

“Domani mattina questa giacca  con queste cose che io ora rimetto dentro le tasche: monetine, coltellino multiuso, matassa di spago, documento d’identità, e certificato di morte rilasciato dal medico dell’ospedale;  li porterai al questore e li consegnerai personalmente a lui dicendo che l’indagine è conclusa. Fammi questo favore Tumiati, io non ho voglia di andarci, non sono ancora pronto a tutte le stupide domande che vorrà farmi.”

Per un paio di giorni fui pervaso da una grande tristezza, presi due giorni di ferie, ne avevo tanti che me ne spettavano, il Pedretti disse:  “non ti preoccupare ci penso io”.
 Andai a trovare Nella al cimitero: 
“Chissà!?  … se vedi il Mazzetti, salutamelo, digli che io in qualche modo sto con i miserabili.”

Tumiati, mi disse che il questore era sorpreso e arrabbiato perché non ero stato io stesso a portargli gli indumenti del Mazzetti. Io non lo chiamai e lui non mi chiamò. Poi dopo due giorni la sua telefonata.
“Biagini, hai colto nel segno, malandrino, gli esami del DNA coincidono perfettamente, c’erano le stesse tracce nella matassa di filo. Ma devi darmi qualche spiegazione. Oh sì, devi darmi qualche spiegazione, e concluderai la carriera con una promozione. Ti aspetto stasera a casa mia, non puoi mancare.”
Cosa dire? Cosa raccontargli?  Vorrà sapere tutto, e molte di quelle cose restavano inenarrabili.
“E’ ovvio che ti chiedo come hai fatto a trovarlo” disse appena mi sedetti dinanzi alla sua scrivania.
 C’era un solo modo per evitare imbarazzanti domande, continuare a dare ragione al questore sulla sua ipotesi iniziale dell’illusionista.
“Avevo un vaghissimo sospetto su quell’uomo, l’avevamo fermato una volta e sosteneva di avere una capacità di rendersi invisibile, aveva fatto un piccolo furto in un supermercato di poco valore e i danneggiati non vollero sporgere denuncia.  Non credevo alle sue capacità d’illusionista;  ma anche se non era nella mia lista dei sospettati, visto che lei, signor questore, mi aveva detto di non trascurare alcun sospetto lo cercai in tutti i posti possibili. Quel sabato sera pensai di andare a vedere lo spettacolo di quel Rasputin e vidi che era tra gli spettatori.  Poi ci fu quel parapiglia provocato dagli agenti dei servizi e lo persi di vista. Poi ritornando in macchina con il sovraintendente Tumiati ci siamo imbattuti nell’incidente. Trovando lo spago nelle sue tasche ho pensato di farvi avere il tutto con la massima urgenza. Diciamo che ho avuto un po’ di fortuna”.
 Il questore continuava a guardarmi con l’aria di chi volesse capire cose  non dette: “In quel trambusto con gli agenti dei servizi c’entrava questo Mazzetti?”
“Per quello che ho potuto vedere io; mentre a quei due agenti gli venne la sciagurata idea di andarsi a sedere nei posti liberi di prima fila, proprio in quel momento scapparono dei conigli dal palco in direzione delle prime file;  alcuni spettatori stupidamente spaventati si erano alzati e da lì il parapiglia con spinte e urla”.
“Sì, maldestri, sono stati veramente maldestri i servizi dei miei stivali”. Disse il questore con aria soddisfatta e poi aggiunse: “Ma di questo Mazzetti e del suo passato, cosa sappiamo?”. 
 Gli dissi quello che era venuto fuori dalle ricerche del Tumiati: che era un imprenditore che aveva chiuso la sua attività e che si era dileguato, poi aggiunsi: “forse si mise a studiare per diventare illusionista?”
“Certo come sia riuscito a fare quello scherzo del filo di spago rimarrà un mistero; ma quell’ipotesi dell’illusionista non era peregrina.”
“Sì, proprio così”. Conclusi con lui.

La cosa fu presto dimenticata. Non ebbi nessuna promozione. Non rividi più il questore. Raccontai quasi tutto al Tumiati che mi guardava con un’aria smarrita. Non presi in carico altre indagini, anche perché con le ferie che mi erano rimaste da fruire arrivavo quasi alla data della mia pensione.
 Ci fu un modesto brindisi di saluto in commissariato e poi via, i miei trent’anni di lavoro sembrarono cancellarsi in un soffio.
 Non sono completamente invisibile come il Mazzetti, ricevo una pensione dallo Stato, ma in qualche modo comprendo come ci si sente ad essere miserabili e invisibili.
 Come passo il tempo? Leggo, divago, e come potete notare ogni tanto scrivo, cose modeste s’intende.  Vado spesso a passeggiare a villa Borghese, e porto con me un romanzo. 
  Giorni addietro, proprio a villa Borghese, ho incontrato il Pedretti con la sua famigliola; io stavo a leggere su una panchina, si è avvicinato, mi è parso che guardasse verso di me, ma non mi ha neanche salutato, forse non mi ha visto.  Nel vuoto del suo sguardo che non mi scorgeva sentii un gelo che mi attraversava la schiena.
 Mi assalì la mente una delle ultime frasi di Jean Valjean : «Morire non è nulla; non vivere è spaventoso.»
Fine

Copyright  © Francesco Zaffuto
(il racconto è stato interamente pubblicato su Arpa eolica in 13 puntate)


post inserito il  11/02/2018

7 commenti:

  1. ”Mi vedono tutti? Allora sono fritto.” Per Mezzetti l'invisibilità era la condizione che giustificava il disinteresse dei suoi simili verso se stessi e la sua persona in particolare. Piuttosto che la visibilità meglio la resa.
    Auguro a tutti gli invisibili di trovare un vero amico, anche se non un commissario di polizia.
    Grazie narratore Francesco per questo bel racconto.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Grazie Sarì per la paziente lettura di questo racconto a puntate dedicato agli invisibili. Non so se sei stata Tu l'unica lettrice che è arrivata alla fine, ma anche se è così per me è un grande risultato.

      Elimina
    2. Purtoppo il narratore ci ha lasciati ieri dopo un infarto seguito da un intervento al cuore. Anche lui ha aperto gli occhi qualche giorno prima diventare invisibile. Ciao Ciccio,mi mi mancherai.

      Elimina
  2. Ho dovuto recuperare qualche puntata delle ultime ma tu sei stato bravissimo a mettere tutti i link. Mi piace il tuo stile, è come una brezza che trasporta e fa giungere a tutti noi le emozioni ed i pensieri dei personaggi e di quello che vuoi far loro dire.

    RispondiElimina
  3. Anch'io in in ritardo, ma lettoe tutte d'un fiato le ultime 3 puntate.
    Molto singolare come idea e straordinaria la metafora uomo-ignorato e solo.
    Cristiana

    RispondiElimina

Post aperto a dibattito, si possono inserire commenti immediatamente ed automaticamente – i curatori di arpa eolica si riservano di cancellare rettifiche e commenti che possano contenere offese a terzi o appelli alla violenza. Grazie per i commenti che andate ad inserire.