La matassa di spago - 6° puntata



La matassa di spago

Romanzo breve – inedito di Francesco Zaffuto

Copyright  © Francesco Zaffuto



6° puntata

Tre cucchiai abbondanti di orzo e uno di caffè, era il mio modo di preparare una bevanda leggera la mattina, per essere in grado di prendere,  più avanti,  un caffè giusto prima di arrivare in ufficio. 
La tazza con il mio miscuglio era pronta quando arrivò con tutta la sua violenza lo squillo del telefono. Era il questore.
“Biagini, sono io, hai letto i giornali stamani?”
“No, stavo facendo colazione”.
“Bene, ti anticipo. Quel tale Rasputin che dovevi rintracciare ha rilasciato un’intervista ed ha dichiarato che è stato lui a provocare la caduta dei due primi ministri con i suoi poteri. Ti rendi conto?”
“E’ un ciarlatano dottore” dissi io come per rassicurarlo.
 Lui ritornò alla carica ancora più infuriato:
“Sarà un ciarlatano, ma intanto è su tutti i giornali e noi dovremmo arrestarlo. Ma se tu non sai dove si trova questo ciarlatano, ogni ora che passa farà altri danni.”
“So, dove trovarlo signor questore, gli posso dare l’indirizzo, posso occuparmene io o se vuole può mandare lei stesso qualcuno dalla centrale. Dovevo andare da lui stamattina, non potevo sapere che questo ieri stava parlando con i giornalisti.”
 Volle l’indirizzo e disse di furia che ci avrebbe pensato lui. Francamente tirai un sospiro di sollievo, una inutile grana in meno pensai, e ricordai le parole del mago del giorno prima:  “è tutto proteso a cercare il massimo della visibilità”.
 Era evidente che quel Rasputin stava giocando d’azzardo, l’avrebbero preso, e poi senza alcuna prova,  e per evitare un polverone maggiore, avrebbero dovuto rilasciarlo.  Certo rischiava un bel po’ di reati come: ostacolo alle indagini, notizie false e via dicendo; ma intanto tutta pubblicità per un guitto che nessuno prendeva in considerazione.

 Presi i giornali e potei notare che l’intervista era stata rilasciata proprio allo stesso giornale che il giorno prima aveva parlato di possibile intervento di un illusionista; gli altri giornali si limitavano a riportare la ghiotta notizia sulla base di un comunicato della stessa redazione del giornale che deteneva l’intervista. Il detonatore mediatico, a mio avviso,  era ben preparato,  tra il Rasputin e il giornale ci doveva essere una preintesa. 

 Il Rasputin era un tal Ugo Matera di Reggio Calabria che era stato in Argentina e in Brasile e che si vantava di essere il mago dei due mondi, c’era anche  sul giornale una foto e una scheda che vantava i meriti della sua carriera; aveva addirittura sulla scena squartato una donna fino a mostrare le viscere e poi l’aveva ricomposta in perfetto ordine; la sua foto vagamente somigliava a quel Rasputin della Russia agli inizi del novecento; i giornalisti nel pubblicare la vecchia foto dell’antico Rasputin parlavano di incredibile somiglianza,  e in una didascalia il calabrese parlava di sue reminiscenze di  “reincarnazione”, del suo a tratti ricordare di essere stato “ferito ed affogato vivo nel fiume Moika”.

L’operazione Rasputin, condotta dal questore,  non fu tanto trasparente. Sulla base delle mie indicazioni fu mandato qualcuno all’indirizzo, non erano normali poliziotti ma agenti dei servizi. Rasputin fu prelevato e condotto in un posto sconosciuto.
“Era meglio che ci andavamo ieri pomeriggio. Vero dottò?”, disse il Tumiati appena mi incontrò.
“A casa non l’avremmo trovato. Era in giro a parlare con i giornalisti e non sapevamo dove.  Comunque il questore ha  già provveduto e forse è stato già arrestato, sulla base dell’indirizzo che gli ho dato io, e sulla base delle indagini che abbiamo fatto noi. Indagini che debbono restare RI SER VA TE.” Scandii bene l’ultima parola a scanso di equivoci.
“Ho capito, commissà, ho capito. Ma gli posso fare una domanda?”
“Falla”, dissi tirando un sospiro.
“Lei pensa che questo Rasputin ha fatto quella cosa grossa dell’altro giorno”.
“No, proprio no, però si autoaccusa di un reato, capisci? Ed autoaccusarsi di un reato se non è vero comporta ostacolo alle indagini e di conseguenza si fa un altro reato. Non ti pare?”
“Certo, commissà, ed hanno fatto bene a metterlo dentro.”
“Bravo. Ma noi non sappiamo se l’hanno messo dentro e non l’abbiamo messo dentro noi”.
“E questo che vuol dire?”
“Ti pare poco. Ho detto al questore, vado ad arrestarlo. E la risposta è stata: ci pensiamo noi della centrale. Dalla centrale, per quello che ne posso sapere,  non è partito nessuno e il Rasputin è stato arrestato lo stesso o almeno è scomparso.”
“Minchia, i servizi!” Esclamò  Tumiati facendo emergere la sua origine siciliana.
“Minchia, sei bravo.” E confermai la sua bravura.
“Possiamo chiedere al questore” disse lui.
“Ritiro  immediatamente il bravo. Prova a chiamare l’ufficio del questore e dici che il commissario Biagini ha necessità di parlare urgentemente con lui”.
E quel testone del Tumiati lo fece veramente e ricevette dall’attendente  dell’ufficio del questore  la prevista risposta: “il questore è fuori sede, quando torna riferirò”.
“Comunque Tumiati, puoi stare certo che se lui ha bisogno di noi chiamerà”.
“Allora noi che facciamo?”
“Niente. Non possiamo neanche iniziare a fare altre indagini perché ci dobbiamo tenere a disposizione per questa. Qualsiasi cosa arriva la smistiamo al Pedretti.”
“Che già borbotta.”
“Lascialo borbottare.  Piuttosto volevo chiederti una cosa. Ti ricordi … qualche mese fa, di quel caso di quel barbone che aveva rubato un salame al supermercato?”
“Ah, sì … come no. Era quello che si credeva invisibile.  Magari è stato lui che …” si mise a ridere. Io lo guardai con aria truce e smise.
“Bene, evita di ridere ed aiutami a ricostruire i fatti. Noi non formulammo alcun verbale quella volta, perciò dobbiamo solo ricordare.”

Copyright  © Francesco Zaffuto



post inserito il  17/12/2017



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