ARTAUD E IL CINEMA

Con questo quarto post continua l’inserimento su Arpa eolica del saggio su Antonin Artaud di Federico Zaffuto – tutto il piano dell’opera su


Atraud - attore nel film La passion de Jeanne d'Arc di   Carl Theodor Dreyer

ARTAUD E IL CINEMA
Che si tratti del dramma della prospettiva di Paolo Uccello, o di quello della linea di
Masson, o dell’onirismo nella pittura di un Balthus o di un de Bosschère,  o ancora
dell’umorismo nella pittura fiamminga, tutti questi aspetti hanno di mira un obiettivo
preciso, ovvero la disgregazione e riorganizzazione della modalità con cui l’uomo
costituisce il mondo. Ma non è solo l’arte figurativa a presentare queste
caratteristiche; riguardo all’onirismo e all’umorismo, ad esempio, il cinema per
Artaud offre ulteriori elementi. Come abbiamo detto precedentemente, quando l’arte
accede alla vera dimensione onirica, riesce a ricreare il mondo in modo originale;
non si deve però cadere nell’errore, che era stato quello dei surrealisti, di pensare che
vi si possa riuscire semplicemente restituendo in modo puramente descrittivo la mera
meccanica del sogno nella sua evidenza allucinatoria; bisognerebbe invece ricreare le
immagini a partire dall’oggetto della realtà per comporle secondo attrazioni
analogiche. Abbiamo visto come per Artaud una certa pittura possa incappare nel
rischio di essere vuotamente astratta, questo si verificherebbe ogni volta che essa non
considera le immagini reali, e le nega, rigettando così il mondo delle «apparenze»; da
questo punto di vista il cinema non corre questo rischio e parte in un certo senso
avvantaggiato, dal momento che si muove per forza di cose sul terreno degli oggetti
concreti. La macchina cinematografica offre di per sé una grande possibilità a chi
utilizza questo mezzo espressivo, essa infatti permette di registrare e riprodurre gli
oggetti concreti del mondo, isolandoli e componendoli tra di loro in modo differente
da come avviene nella realtà. Questi, in tal modo, possono assumere una vita a sé, riuscendo così a svincolarsi e a rendersi indipendenti dal loro senso ordinario.(41) Tale dinamica di composizione della realtà è esattamente ciò che avviene nella
dimensione onirica, ma bisogna saper cogliere quell’onirismo nel modo in cui, ad
esempio, Picasso era riuscito a fare tramite la sua opera pittorica, considerata da Artaud una vera e propria dissezione della realtà.(42) L’occhio della cinepresa diventa allora, se lo si sa usare, un bisturi con il quale scomporre le forme fino a farne
apparire l’ossatura essenziale. Gli oggetti, così ricontestualizzati, fanno fare un passo
avanti al pensiero umano che, «stanco del gioco delle rappresentazioni», si svincola dal linguaggio naturale e dal suo potere simbolico.(43) Per uscire dalla logica del
linguaggio naturale non basta però accedere alle immagini del sogno, perché questo
ha comunque una propria vita e una propria coerenza interna che è più che logica,
ecco perché Artaud parlando del suo soggetto cinematografico La conchiglia e il
pastore dice che «questo soggetto non è la riproduzione di un sogno e non deve essere considerato come tale»44. In questo film - che è l’unico suo soggetto che vedrà
la realizzazione cinematografica, grazie alla collaborazione con la regista Germaine
Dulac - Artaud voleva andare oltre i contenuti del sogno per poterne illustrare la
meccanica profonda: lo si potrebbe definire uno scenario onirico senza essere la
descrizione di un sogno.



(nota: La versione sonora qui inserita in immagine è quella di Roto Visage (Jason Popejoy) pubblicata il 9 gennaio 2012   http://rotovisage.bandcamp.com/ per i suoi timbri sonori pare richiamare la situazione onirica del film di Artaud/Dulac)
sono attualmente reperibili su youtube altre versioni de La conchiglia e il pastore con diverse colonne sonore



Artaud, seppure inizialmente non molto soddisfatto della realizzazione che ne fece la regista francese, teneva molto al film; lo vediamo infatti, in una lettera scritta a Paulhan, rivendicare a sé l’invenzione di un cinema onirico e nello stesso tempo criticare Bun͂ uel e Cocteau in quanto sarebbero stati autori di film che restano prigionieri della logica segreta del sogno; ricadendo così in quella immediatezza di trascrizione della dimensione onirica di cui si sarebbero già macchiati i pittori surrealisti.45 Questo cinema astratto e puro, in quanto di carattere meramente formale è, secondo Artaud, da rigettare; ma esso non è il solo ad essere criticato, infatti, al suo opposto vi sarebbe un’altra forma altrettanto da respingere, ovvero il cinema  psicologico o letterario, quello legato al racconto di una storia. Se la forza del cinema è quella di presentare il mondo in un’immagine che potremmo definire ambigua, la costruzione narrativa ne vanificherebbe questa possibilità. Ciò su cui ci si deve concentrare è l’immagine e non il racconto, presentandola secondo una doppia valenza soggettiva-oggettiva, psichica-materica. L’immagine deduce un’altra immagine imponendo così una «sintesi obiettiva» che non necessita di nessun tipo di collegamento logico. Il cinema quindi scompone la materia e la riconnette secondo leggi altre, attinte dall’inconscio. Non è un caso che il primo scenario di Artaud, I diciotto secondi, verta proprio sulla dimensione psichica interiore del tempo: il tempo che vedremo svolgersi sullo schermo è quello interno dell’uomo che pensa, quello in cui avvengono gli avvenimenti descritti è realmentedi diciotto secondi ma la descrizione di questi avvenimenti richiederà più di un’ora (tutta la durata del film) per essere proiettata sullo schermo.46
Dicevamo che il cinema parte dagli oggetti, dalla materia, e, giocando con questi,
crea situazioni che provengono dal semplice urto di oggetti e di forme, secondo un
gioco di attrazione e di repulsione, che non segue nessuna logica apparente. Lo stesso
movimento di dissolvenza della stabilità delle forme può essere raggiunto anche
tramite l’ironia: l’humour più selvaggio infatti sovverte le forme, e la realtà così
sembra distruggersi sotto i colpi dell’ironia, dove si possono sentire gridare «gli estremi dello spirito»47. Per Artaud, i film più riusciti in questo senso, sono quelli dotati di uno humour feroce come «gli Charlot meno umani»48 e soprattutto quelli dei fratelli Marx. Di questi ultimi, due su tutti sono considerati i capolavori che
avrebbero colto quello che a detta di Artaud dovrebbe essere il vero spirito
surrealista: Animal Crackers e Monkey Business. In queste pellicole si esprime uno
humour che nella sua violenza riesce a produrre una «liberazione integrale e lacerazione di ogni realtà nello spirito»49. Qui l’inconscio dei personaggi, a lungo
represso dalle convenzioni e dalle abitudini, si vendica e liberandosi libera al tempo
stesso il nostro. Il finale di Monkey Business, ci dice Artaud, è un vero inno
all’anarchia e alla rivolta integrale: dove «il muggito di un vitello ha la stessa portata
intellettuale e la stessa qualità di lucido dolore di un grido di una donna impaurita
[…] e dove due servi palpano a loro piacere le spalle nude della figlia del padrone e trattano da pari a pari il padrone stesso»50. RITORNA A L’INDICE DEI CAPITOLI

NOTE

41 Si veda: A. Artaud “Stregoneria e cinema” (1927), in Del meraviglioso. Scritti di cinema e sul cinema, tr. it. di M. Bertolini e E. Fumagalli, materiali a cura di G. Fofi, Minimum fax, Roma 2001, pp. 71-73.
42 cfr. paragrafo precedente a p. 14.
43 Si veda: A. Artaud “Il cinema e l’astrazione” (1927), in Del meraviglioso. Scritti di cinema e sul cinema, tr. it. di M. Bertolini e E. Fumagalli, materiali a cura di G. Fofi, Minimum fax, Roma 2001, pp. 74-75.
44 A. Artaud “Cinema e realtà”, in Del meraviglioso. Scritti di cinema e sul cinema, tr. it. di M. Bertolini e E. Fumagalli, materiali a cura di G. Fofi, Minimum fax, Roma 2001, pp. 24-31, qui p. 26.
45 Si veda: Carlo Pasi, Artaud attore La casa Usher, Firenze 1989.
46 Tutti i soggetti cinematografici di Artaud si possono trovare tradotti in italiano in: A. Artaud, Del meraviglioso. Scritti di cinema e sul cinema, . it. di M. Bertolini e E. Fumagalli, materiali a cura di G. Fofi, Minimum fax, Roma 2001, pp. 11-67.
47 A. Artaud “Cinema e realtà”, in Del meraviglioso. Scritti di cinema e sul cinema, tr. it. di M. Bertolini e E. Fumagalli, materiali a cura di G. Fofi, Minimum fax, Roma 2001, pp. 24-31, qui p. 26.
48 Ibidem.
49 A. Artaud Il teatro e il suo doppio, tr. it. di E. Capriolo, Einaudi, Torino 1964. 50 Ivi, p. 252.



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